Essere genitori quando il destino non segue le aspettative
Il peso invisibile di chi cresce un figlio con disturbi specifici dell'apprendimento o carenze nella capacità di attenzione e concentrazione
Essere genitori è un’esperienza intensa, totalizzante, spesso faticosa anche nelle condizioni più favorevoli. Ma quando lo sviluppo del proprio figlio devia dalle aspettative sociali o scolastiche — per un disturbo dell’apprendimento (DSA), un’iperattività (ADHD), o altre fragilità non sempre immediatamente etichettabili — la sfida si moltiplica.
Il primo scoglio non è né la diagnosi né la scuola: è il carico emotivo del genitore che si trasforma e che per un lungo periodo sentirà cambiare, giorno dopo giorno. È quel momento in cui ci si accorge, spesso senza parole, che qualcosa non sta andando come dovrebbe.
E quel “come dovrebbe” pesa come un macigno, perché ci mette davanti a una considerazione emotivamente intensa: Sto crescendo un figlio diverso da come l’avevo immaginato.
Il micro-lutto di una riformulazione: quando il futuro cambia forma
Ogni volta che un genitore prende coscienza che il proprio figlio non corrisponde all’“immaginario condiviso” della normalità, si attiva un processo emotivo molto simile a quello del lutto. Non per la perdita del figlio reale, ma per la perdita di quella “promessa di futuro” che ci si era inconsciamente costruiti. La psicologa svizzera Elisabeth Kübler-Ross, nota per aver descritto le 5 fasi del lutto (rifiuto, rabbia, contrattazione, depressione, accettazione), ci offre una struttura che può essere adattata a ciò che vivono i genitori – e a volte i bambini stessi – in questi percorsi:
Negazione – “Non è possibile. È solo immaturo. Vedrai che col tempo passa.” Spesso è la prima reazione di fronte a una segnalazione scolastica o a una difficoltà oggettiva. Il rifiuto serve a proteggere il genitore dal dolore immediato della delusione.
Rabbia – “Perché proprio a noi? Perché mio figlio? Perché nessuno lo capisce?” Una fase delicata, in cui il rischio di conflitto con la scuola o con i partner familiari è alto. L'energia emotiva in questa fase è intensa, spesso disordinata.
Contrattazione – “Forse se cambia insegnante… Se inizia lo sport… Se facciamo logopedia…” La ricerca di soluzioni a volte frenetica, spesso frammentata, nasce dal desiderio di “riparare” la deviazione dal percorso previsto. La confusione nel panorama di aiuto spesso rende ancora più complessa questa ricerca.
Depressione – “Non ce la faremo mai. Sarà sempre in difficoltà. Sarà infelice.” È il momento in cui si teme per il futuro, si affronta la realtà della fatica cronica, e si entra nel dolore autentico. Ma è anche il preludio al cambiamento.
Accettazione creativa – “Non sarà come avevo immaginato, ma sarà comunque pieno di valore, di possibilità, di amore.” Questo è l'atteggiamento di chi riconosce, con lucidità e amore, che il proprio figlio ha un percorso tutto suo, e che può essere ricco, profondo, pieno di sorprese.
Queste fasi non sono sempre lineari. Possono mescolarsi, tornare, alternarsi tra i membri della famiglia. E ogni bambino, a sua volta, può vivere qualcosa di simile: anche lui, o lei, percepisce di essere “fuori posto”, anche senza comprenderne esattamente il motivo.
Il peso invisibile dell’energia necessaria
Ciò che spesso viene trascurato, anche daI professionisti, è la quantità di energia mentale, emotiva e fisica che serve per accompagnare un figlio con fragilità evolutive. Troppo spesso ci si concentra sul disagio e sulla ricerca di serenità per il bambino ma si perdono di vista i membri dell'intero nucleo familiare.
Ogni mattina si innesca un braccio di ferro per mantenere l'equilibrio tra incoraggiamento e fatica.
Ogni compito scolastico può trasformarsi in una montagna difficile da affrontare, complicata da risolvere e spesso fonte di frustrazione e calo della motivazione.
Ogni colloquio con la scuola, ma anche in famiglia, può riattivare la paura del giudizio e alimentare quindi la paura di osare e di mettersi in gioco.
Ogni confronto con altri bambini “normali” può portare a senso di colpa o inadeguatezza.
I genitori devono essere ogni giorno educatori, mediatori, esperti di normativa scolastica, motivatori, organizzatori di agende terapeutiche, e oltre a questo ovviamente dovrebbero essere semplicemente dei bravi mamma e papà. Tutto questo mentre lavorano, gestiscono relazioni, affrontano i propri limiti e mantengono in piedi una casa.
Non è un caso che numerosi studi internazionali (es. Rosenzweig et al., 2008; Theule et al., 2011) riportino livelli di stress genitoriale significativamente più alti nelle famiglie con bambini con ADHD o DSA, con ricadute sul benessere psicofisico, sulla coppia e sulla qualità della vita.
Cosa si può fare? 5 azioni semplici, ma trasformative
La buona notizia è che non tutto è nelle mani degli altri. Esistono strategie concrete che ogni genitore può attivare, anche da subito, per alleggerire il peso e aumentare la fiducia:
Dare un nome alle emozioni: riconoscere che si sta attraversando un percorso simile a un lutto non è patologico: è umano. Dare voce alla paura, alla fatica, al dolore è segno di forza e indice di coraggio.
Cercare ascolto competente: un pedagogista clinico, un counselor dell’età evolutiva, uno psicologo dell’apprendimento possono fare la differenza non solo per il bambino, ma anche per i genitori. Anche un solo colloquio può offrire nuove prospettive e strategie più adatte.
Smettere di cercare la “normalità”: ogni bambino è unico. Il confronto con gli altri raramente è utile. Il vero progresso è individuale e si misura nella serenità, non nei voti o nei successi standardizzati.
Ogni giorno, domandati: Cosa è andato bene oggi, anche se sembra poco rilevante? In cosa mio figlio ha fatto un passo avanti, anche minimo?
In cosa ho agito come un buon genitore, anche se imperfetto?
Questo cambia lo sguardo. E dove cambia lo sguardo, cambia l’energia.
Costruire un linguaggio nuovo in famiglia Immagina l'impatto che possono avere frasi come “sei uguale a tuo cugino che non ha voglia di fare niente” o “non sei capace di concentrarti nemmeno un minuto”.
Sostituiscile con: “Hai bisogno di più tempo, ma poi ci arrivi” “Hai un modo tuo di capire le cose, ed è questa unicità che ci rende speciali” “Sei capace, anche se non tutto ti è facile”.Le parole cambiano la percezione di sé. E la percezione di sé cambia la traiettoria di crescita.
La revisione della promessa: la diagnosi o la difficoltà non è la fine di un sogno, ma rappresenta l'occasione per riscriverlo con forma e sfumature diverse. Si tratta di un processo che richiede fatica, certo. Ma anche creatività, presenza, pazienza, e soprattutto amore intelligente.
Nei prossimi articoli e nel podcast Pedagogia Flessibile parleremo anche delle dinamiche tra fratelli e sorelle, e del ruolo delle figure familiari allargate. Ma adesso il mio messaggio è dedicato a ogni genitore che si sente solo, stanco, confuso o scoraggiato.
È importante realizzare che non si è soli, nella definizione di un percorso né nella sua esecuzione. Non c'è mai qualcosa di sbagliato in questo: interagiamo con persone, non con progetti, quindi le variabili da tenere in conto sono molte.
L'elemento da cui si può sempre partire per intraprendere vie nuove è l'amore, la disponibilità genitoriale nei confronti del bambino che manifesta una difficoltà, senza giudizio, l'affetto profondo che sostiene nei momenti più difficili, solitamente legati alla consapevolezza e alla ricerca di strategie utili a trovare una situazione di equilibrio. Ogni bambino ha il diritto di essere capito. Ogni genitore, quello di essere sostenuto.
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